SOPRAVVIVERE O VIVERE
COLPEVOLIZZARSI O ACCETTARSI
COLPEVOLIZZARSI O ACCETTARSI
Due terapeuti, Kalher e Capers (1986), hanno inserito gli elementi del copione all’interno di un processo chiamato minicopione negativo o scala della sopravvivenza e minicopione positivo o scala della vita.Gli autori hanno, con questo schema, reso evidente il modo con cui la persona nella vita di tutti i giorni porta avanti il suo copione, e quindi la sua sofferenza, o invece si apre al nuovo.
Nel vertice del minicopione negativo c’è la posizione io sono ok e tu sei ok se…….
Qui si vive un benessere condizionato al vivere secondo delle pretese rivolte a sé e agli altri. L’elemento del copione consiste in ordini o controingiunzioni: modi di essere appresi, da cui si fa dipendere la nostra felicità. Accettiamo noi e gli altri condizionatamente, in base a quanto ci percepiamo aderenti a questi schemi mentali.
Queste modalità annullano dei bisogni importanti, non sempre consapevoli, in quanto si ritiene giusto soddisfare determinate aspettative. Il senso di questo sta nella nostra storia, quando da piccoli per mantenere la relazione con le figure di riferimento si sono assunti quei comportamenti che ottenevano approvazione. L’essere umano nella sua intelligenza e creatività si adatta all’ambiente e costruisce la sua identità sulla base di come l’adulto si relaziona a lui e soddisfa i suoi bisogni, imparando ben presto quello che deve fare per essere accettato. I sentimenti e i bisogni messi a tacere emergono, tuttavia, per via indiretta, al di fuori del controllo come sintomi psicosomatici, come comportamenti non voluti o emozioni non gestibili. E’ per questo che proprio ciò che non vorremo di noi è invece una parte importante che va accolta e ascoltata, per rompere il circolo vizioso del minicopione e muoversi verso la libertà, la verità e la gioia.
Sono stati identificati 5 ordini.
- Sii forte: la persona non accoglie i sentimenti considerati come segno di debolezza e preferisce apparire impavido senza far vedere paura, dolore e anche senza lasciarsi andare ad espressioni d’affetto. Pretende nei confronti di sé e degli altri di essere sempre forte e al di sopra delle emozioni.
Per un percorso di cambiamento e passare dal sopravvivere al vivere è importante darsi il permesso di essere umani: va bene chiedere aiuto e farsi aiutare, essere vicini agli altri, essere a contatto con i sentimenti ed esprimerli, essere teneri.
- Sii perfetto: la persona rincorre la perfezione e vive con un elevato livello di critica. Anche qui è importante darsi il permesso di essere umani: va bene essere imperfetti, mancanti, fare errori, apprendere sbagliando, va bene aver torto, va bene rilassarsi, va bene non arrivare primo, va bene fare per divertirsi, va bene essere se stessi.
- Compiaci: la persona non riesce a vivere senza l’approvazione e senza essere rassicurata dall’altro, e non si sente in diritto di avanzare i suoi bisogni e portare il suo pensiero. Vive compiacendo gli altri e si aspetta che poi anche gli altri facciamo lo stesso.
E’ importante riconoscersi il diritto di pensare a sé, di rispettarsi e far piacere a sé, e darsi il permesso: va bene voler quello che voglio e anche chiederlo. In genere quando la persona esce dall’ordine compiaci mostra comportamenti molto più altruistici, percepiti come spontanei e piacevoli per sé e per gli altri. Il fare per gli altri, sotto l’ordine compiaci, è invece percepito dall’altro con una sensazione di disagio, fastidio e porta alla fine alla persona stessa un senso di pesantezza, delusione e fallimento.
- Tenta disperatamente: la persona tenta e non porta a termine, ci prova a soddisfare le aspettative degli altri senza riuscirci. Per un percorso di cambiamento è importante darsi il permesso di scegliere quello che si vuole per sé, farlo e riuscire, anche se ciò non è secondo i desideri degli altri. E’ un riconoscersi che va bene quello che si vuole, va bene farlo e farlo con i propri tempi e modi e va bene avere successo.
- Spicciati: la persona vive nella continua fretta, si percepisce spinta fuori dal tempo nel tentativo di raggiungere la meta, di andare in qualche posto. Il permesso di cui ha bisogno è quello che va bene sapere che si ha tutto il tempo per fare quello che si vuole, che va bene fermarsi, prendere tempo, rilassarsi, assaporare il momento presente e fare ciò che piace.
Questi 5 aspetti non sono negativi in quanto presentano dei lati positivi, ma lo diventano quando sono vissuti come degli imperativi che sempre devono essere soddisfatti per star bene e quando, se disattesi, sono accompagnati da un stato di malessere.
Anche per questo aspetto il significato sta nel passato, quando il bambino percepisce la reazione emotiva delle figure importanti nel momento che, inevitabilmente, emerge la parte di sé non forte, non perfetta, non compiacente, intraprendente e che si prende tempo e si rilassa. Queste reazioni emotive vengo interiorizzate come ingiunzioni, ovvero divieti; concetto che si riprenderà successivamente, nella seconda posizione del minicopione.
Il paradosso che si verifica è che gli ordini sono portati avanti nel tentativo di evitare le sensazioni spiacevoli legate alle ingiunzioni, ma più si tenta di rispettarli più si scivola nel malessere. Questo perché oggi come allora vivere attenendosi agli ordini è obbligarsi ad una missione impossibile per ogni essere umano ed è andare incontro al fallimento.
Spunti di riflessione
- Ripeti senza guardare i 5 ordini. In genere il primo ricordato è quello che viene portato avanti al livello sociale, mentre quello non ricordato è quello vissuto a livello più profondo.
- Cosa apprezzavano di me mio padre?/Cosa apprezzava di me mia madre?/o altre figure significative?
- Cosa pretendo da me? Cosa pretendo dagli altri?
- Cosa non mi concedo?
- Cosa succede se ti permetti ciò che in genere non ti concedi? Cosa provi? Cosa pensi di te? Cosa immagini che gli altri pensano di te?
II POSIZIONE O II GRADINO
Nei momenti in cui la persona non soddisfa gli ordini scivola nella posizione “Io non sono ok, tu sei ok”, sperimenta la proprio limitatezza e manchevolezza. Ci si mette sotto giudizio. Nel dialogo interno ( vedi il post " Chi siamo e come funzioniamo?") vi è la critica del G e l’attivazione del B adattato. L’altro è vissuto come un G critico o deluso. Emergono quelli che la English chiama sentimenti ricatto (es. senso di colpa, vergogna, paura, ansia, ecc…) e pensieri ricatto (sono cattivo,non sono all’altezza, sono stupido, ecc…). La English utilizza il termine ricatto per indicare pensieri e sentimenti che coprono quelli autentici, non sentiti o non espressi, dal momento che non sono stati accolti nella famiglia d’origine.
Con i pensieri ed i sentimenti ricatto, infatti, il bambino si attribuisce la responsabilità della reazione emotiva dell’adulto e si adatta proteggendo così la relazione da cui dipende. Il bambino si svaluta e si rappresenta come ad esempio inadeguato, colpevole, ecc…, non potendo reagire diversamente e bloccando bisogni ed emozioni, che permangono come tensioni corporee. In questo modo si mette a tacere il conflitto tra il bisogno di “stare con” e il bisogno di esprimere la propria individualità, conflitto che può tornare ad emergere in modo più o meno consapevole ed è in genere accompagnato dall’ansia.
In questa posizione la persona delega il soddisfacimento dei propri bisogni all’altro e di conseguenza la responsabilità del proprio benessere. Infatti per uscire da questa situazione di malessere si crede che occorre un cambiamento dall’esterno (se l’altro…, se non fosse…), con il rischio di aspettare inutilmente e di non essere padroni della propria vita.
E’ un momento delicato: passare dal cambiare gli altri al cambiare se stessi comporta l’abbandonare l’idea che antichi bisogni siano soddisfatti; comporta il rivedere la propria identità e spingersi verso il nuovo; significa toccarre le ingiunzioni interiorizzate e prendere nuove decisioni riguardo a sé.
Le ingiunzioni sono percepite come dei divieti a cambiare (es.“non posso pensare a me, mi sentirei in colpa”) oppure come dei modi di essere (“non sono capace ad arrabbiarmi”, “tanto sono fatto così”) e storicamente sono l’interiorizzazione delle paure non consapevoli, e quindi agite, delle figure di riferimento di fronte all’espressione di determinati bisogni da parte del bambino.
A queste ingiunzioni, definite come false credenze da McNeel (2000), la persona risponde inconsapevolmente con delle decisioni riguardo chi è, chi sono gli altri e che cosa farà. Cogliere ciò permettere di andare al significato di alcuni comportamenti. Es. isolarsi può essere il segnale dell’ingiunzione “non appartenere”; sottomettersi ed evitare conflitti è un modo per “non separarti”; mettere sempre al primo posto i desideri degli altri può nascondere un “non volere per sé”; controllare continuamente l’ambiente può essere legato all’ingiunzione “non fidarti”; mettersi sempre in dubbio può dipendere da “non fidarti di te”, ecc…Questi comportamenti chiudono la persona in un circolo vizioso e confermano le convinzioni copionali.
Quanto la persona tenta comportamenti diversi da quelli abituali sperimenta il conflitto tra il desiderio di aprirsi a nuove possibilità e la paura, collegata alla fantasia di perdere la relazione e di conseguenza se stesso. Sotto questo conflitto c’è la parte di sé ferita di cui la persona ha bisogno di prendersi cura per non continuare a scivolare nel minicopione negativo o nella scala di sopravvivenza.
Se questo non avviene, ovvero non si entra a contatto con i sentimenti e bisogni autentici coperti da quelli ricatto e non ci si prende cura di essi, allora si passa alla III posizione (quella centrale al triangolo) o nel III gradino.
III POSIZIONE O III GRADINO
Sostare nella posizione precedente, legata ad un vissuto di manchevolezza, risulta pesante allora la persona si sposta e la rabbia rivolta verso di sé è rivolta verso gli altri. C’è la percezione che io sono ok mentre l’altro è non ok. Quello che si verifica è un passaggio di colpe dall’io al tu.
La persona può vivere una rabbia di rancore, di impotenza, di frustrazione o di sfida. C’è chi trova sollievo nell’arrabbiarsi e attribuire colpe all’altro e c’è chi lo vive con disagio. E’ il momento del “perché tu”, del “dopo tutto quello che ho fatto per te” o anche del “te la farò vedere io”, del “vediamo un po’ cosa sai fare”, ecc… L’aspetto positivo è che è un momento di reazione, un tentativo di uscire dagli schemi, che però vengono alla fine riconfermati.
L’inefficacia sta nel potere che si dà all’altro, sta nella ricerca della soddisfazione di un bisogno ferito all’interno di una relazione simbiotica, dove si rimprovera l’altro nella speranza che capisca e risponda al bisogno che non si esplicita poichè non ci si permette di viverlo ed esprimerlo. Si cerca fuori un risposta diversa da quella ottenuta nel passato per ricevere finalmente l’autorizzazione ad esserci ed essere se stessi senza perdere così la relazione.
Uscire dalla relazione simbiotica e non delegare all’altro la soddisfazione dei propri bisogni permette di esprimere l’autoaffermatività in modo creativo e libero, non bloccato dalla paura e appesantito dalla percezione di aver subito un’offesa. Ci si prende il potere sulla propria vita, senza svalutare, ma nel rispetto di sé e dell’altro.
Il fallimento, invece, di questo momento di reazione, porta la persona a scivolare nell’ultima posizione o gradino, riconfermando l’impossibilità che i suoi bisogni siano riconosciuti e accolti e di conseguenza le convinzioni su di sé, sull’altro e sulla vita costruite a partire dalla relazione sperimentata.
IV POSIZIONE O GRADINO
Qui la persona si percepisce non Ok e percepisce l’altro non Ok. Ci si riconferma non amabili o soli o non voluti o inesistenti, ecc… con sentimenti di tristezza, rabbia verso di sé e gli altri o anche con sensazioni di vuoto e inutilità. E’ il seminterrato dei sentimenti arcaici, sperimentati nella relazione di attaccamento, che possono essere rivisti con la consapevolezza di un adulto e non di un bambino dipendente fisiologicamente dai genitori
Tutte le posizioni precedenti sono il tentativo di allontanarsi da questo vissuto e soddisfare il bisogno fondamentale di stare con l’altro in un rapporto di autonomia e reciprocità. Una volta arrivati in fondo si può tornare al vertice del triangolo e disperatamente cercare la felicità all’interno degli schemi o scegliere una nuova strada. Anche nell'estrema sofferenza è possibile una nuova vita, in quanto se la persona è riuscita a vivere fino a quel momento significa che possiede risorse e messaggi positivi interiorizzati per poter essere felice.
Le persone percorrono queste posizioni del minicopione più volte nella vita e con diverse velocità. C’è chi gira in tutte e chi, come in genere gli introversi, passa dalla II posizione direttamente all’ultima. Se non ci apre a nuove possibilità a lungo andare si sosta sempre di più nell’ultima fase e qualora il vissuto del copione sia insostenibile si prendono delle uscite di fuga come la malattia psicosomatica, la depressione, la pazzia, il suicidio o l’omicidio.
KAHLER T; GOODMAN L., Il processo di sopravvivenza: chiarimenti del Minicopione, Riv. It. Di AT e metod. Psicoter.,VI, 11, 1986.