IL NOSTRO ESSERCI CON L’ALTRO-RISORSE E LIMITI
I QUADRANTI ESISTENZIALI
Berne (1962) parla del nostro esserci nel mondo, utilizzando il concetto di posizioni di vita o di quadranti esistenziali. L’Autore individua quattro posizioni in base al giudizio che il soggetto dà di sé e dell’altro.
Esse sono: Io vado bene, tu vai bene ; Io vado bene, Tu non vai bene (Forte); Io non vado bene, Tu vai bene (Tenero) e Io non vado bene, Tu non vado bene (Introverso). A differenza della prima posizione ( Io + Tu +), le altre scotomizzano il valore di uno o di entrambi i soggetti.

La scelta di una posizione esistenziale risente delle prime esperienze relazionali e viene rivista negli anni successivi, anche in risposta all’ambiente extrafamiliare con cui il bambino nella sua crescita si relaziona.
La scelta del quadrante è una decisione esistenziale con funzione adattiva, fatta in base alle risorse che la persona possiede e al tipo di ambiente in cui vive.
Una volta assunta la posizione esistenziale, la persona tende a selezionare gli stimoli, a pensare, sentire, agire e relazionarsi agli altri in sintonia con l’idea di sé che si è costruito.
Dal momento, tuttavia, che la posizione esistenziale è basata su una decisione, per quanto inconsapevole, questa, come qualsiasi decisione, può essere cambiata e si possono apprendere nuove vie per prendersi di cura di sé.
Le persone presentano due quadranti: uno psicologico (legato alle relazioni intime) e un altro sociale (legato alle relazioni sociali o di lavoro). Il quadrante che rimane non utilizzato è quello legato ad un vissuto  doloroso.
I quadranti esistenziali sono un quadro complessivo che include limiti e linee di forza.
Riconoscersi in un quadrante è riconoscere la propria identità, un certo modo di essere persona.
Cogliere la posizione esistenziale significa andare alla radice, a quelle convinzioni, riguardo se stessi, gli altri e la situazione, prese dal “non” delle ingiunzione e dagli ordini. Da questa base il bambino ha elaborato strategie di sopravvivenza, facendo le prime decisioni su cui strutturerà la sua storia.

Quadrante esistenziale e stadi evolutivi
Le posizioni esistenziali sono attraversate lungo l’arco evolutivo da tutte le persone. Infatti il bambino, durante i primi tre anni, passa attraverso tre stadi evolutivi. Prima vi è la fase del + - , dove io vado bene, c’è qualcuno che soddisfa i miei bisogni, sul quale comando e del quale non mi interessa nulla. Poi c’è quella del  - - dove io ho bisogno e misuro la mia forza e quella degli altri, sfidando e mettendo in dubbio quello che viene detto. Infine arriva il - + , dove vi è qualcuno che comanda, io sono meno e ho come scelta l’adattamento (B ribelle, compiacente, ritirato - vedi per la definizione degli stati dell'Io il post " Chi siamo e come funzioniamo").
Proprio perché queste fasi sono vissute da tutti durante lo sviluppo, ogni persona può riprendere le linee di forza del quadrante abbandonato durante la crescita.

Descrizione dei quadranti
1. Il forte (+ -)
Il grande bisogno del forte è quello di essere amato, sostenuto e accettato.
Egli ha sperimentato una relazione non sufficientemente empatica nel momento della separazione, introiettando il messaggio “Tu non ci sei” e un vissuto d’impotenza e di non valore. Per compensazione il bambino ha sviluppato un sé narcisistico.
Il forte si è identificato con il frustratore, divenendo indifferente alla volontà e presenza altrui, come dimostrazione del proprio potere.
Il forte proietta il suo meno e si pone come Genitore normativo potenzialmente critico e non protettivo, assumendo il controllo dell’altro temuto e invidiato. Ma la dipendenza negata si intravede nel bisogno continuo che il forte ha di un debole, in genere un tenero, su cui proiettare la sua debolezza e il suo non valore. 
Tutte le energie del B libero si spostano, così, dai desideri reali alla necessità di mantenere questa immagine di sé e dell’altro.
Il legame con l’altro è basato sulla capacità di protezione e di responsabilità, ma anche sulla possessività e la tendenza a dire cosa è giusto e cosa è sbagliato.
Il forte cerca e, a volte, rifiuta questo tipo di legame che comporta una faticosa responsabilità.
Il bisogno di controllo nelle relazioni nasconde la paura dell’abbandono e della solitudine.
Quando il + - non riesce a mantenere l’immagine di sé forte, si percepisce come vittima ingiusta.
Nel momento finale del minicopione vive una sensazione di abbandono e di non accettazione di sé senza riverse, che è alla base della sua sopravvivenza.
La comparsa del disagio è legata alla perdita della posizione dominante nella relazione simbiotica o all'emergere del bisogno di attaccamento e dipendenza, vissuto come ricerca di vicinanza fisica. La malattia può essere un modo per esprimere questo bisogno senza parole e senza consapevolezza.
Tra le linee di forza ci sono colpo d’occhio, chiarezza nei particolari, capacità descrittiva, attenzione al mondo esterno (concretezza), capacità di organizzazione, intelligenza di tipo percettivo sintetica e logica ( discorsi sintetici e scritti schematici), capacità di assumere il potere, il comando decisionale e protettivo, abnegazione fino al sacrificio di sé con tendenza al conservatorismo.
I limiti che si notano sono difficoltà all’insight (intuizione, astrazione e introspezione) e quindi ad entrare in contatto con i propri bisogni e sentimenti e difficoltà nell’espressione verbale, scarsa fiducia negli altri e non accettazione del diverso, visto come sbagliato e perciò allontanato.
Tipica di questo quadrante è la rabbia di rancore, che il senso dell’abbandono colora di una tonalità di irreparabilità.
Il canale sensoriale privilegiato è quello visivo, ossia visualizzare, osservare, controllare e vedere l’esterno. Nel linguaggio ricorrono termini che rappresentano la realtà visivamente. I forti, definiti anche visivi, riescono a creare mentalmente un’immagine, come se fosse una foto, mostrando capacità nel memorizzare i dettagli.
Nel percorso del forte è importante il riconoscere e l’accettare l’inesausto bisogno di essere accolti, sostenuti ed amati.
        
2. L’introverso (- -)
Nell’introverso vi è il conflitto tra il bisogno di prendersi il potere e il blocco della vergogna e del dubbio.
L’esperienza centrale nell’introverso è rappresentata dal non sentirsi bene in nessun posto, da un vissuto di incomprensione, esclusione e frustrazione del bisogno di una relazione che rispetti la sua dignità, il suo volere, il suo modo di essere, ovvero la sua autonomia.
Ciò che è rimasto insoddisfatto è quindi il vivere l’intimità in autonomia, nella vicinanza e allo stesso tempo nella libertà.
L’introverso non desidera comandare sugli altri, come il forte, né essere gregario, come il tenero, ma vuole un giusto equilibrio tra potere e rispetto, altrimenti si ritira dal rapporto e congela i bisogni affettivi.
L’introverso vive, quindi, il conflitto tra il bisogno di relazione e quello di autonomia, dal momento che la dipendenza è vissuta come negazione della sua identità, e di conseguenza è uguale al plagio, al non riconoscimento e alla perdita dell’identità.
Il Genitore interno dell’introverso è iperprotettivo e ambivalente e dice “ non esisti”, “così come sei non ti riconosco”.
La difesa utilizzata è il ritiro, insieme all’isolamento dell’emozioni.
Nell’autosufficienza l’introverso si riconosce potente “ non ho bisogno di nessuno”, ma per mantenere questa percezione deve “mettercela tutta”, “spicciarsi” e “far bene”. Quando non riesce emerge il pensiero “da solo non sono nulla, ho bisogno di tutti, ma nessuno è adeguato a me”, e il sentirsi ignorato, non riconosciuto e non capace.  
In genere l’introverso cerca di riprendersi il potere nella relazione sfidando, non facendo o scegliendo il contrario; modi questi che nascondono il dolore di una ferita alla propria identità (“non essere, non vali, non chiedere, non esprimere sentimenti”).
Nel momento che rimane insoddisfatto il suo bisogno di vicinanza e libertà, il vissuto finale dell’introverso è quello dell’assenza di speranza, l’impossibilità della comunicazione e dell’essere compresi e il fallimento esistenziale.
Tra le linee di forza ci sono capacità di cogliere il valore positivo dell’umanità e del limite umano, originalità nell’individuare l’essenziale, sfida con se stessi, capacità di astrazione, doti artistiche ed espressive, tendenza all’Assoluto, acutezza sensoriale, sensibilità, tenacia, volitività e capacità di insight, facilità a pensare e acutezza di pensiero; risorse che sono ottime alleate nel momento in cui l’introverso decide di cambiare.
Il canale sensoriale privilegiato è quello uditivo, ossia sentire, percepire e ascoltare l’esterno. Nel linguaggio ricorrono termini che rappresentano la realtà acusticamente. Gli introversi, definiti anche uditivi, hanno una grande capacità di ricordare frasi e di cogliere e recuperare da un’esperienza i suoni.
Tra i limiti ci sono la categorizzazione in tutto o niente, il creare una barriera di sfondo sensoriale tra sé e gli altri, l’eccessivo pensare che diventa ruminare e il ritiro nella posizione futile ( “niente va bene, nulla a senso”).
Le paure del - - sono, in particolare, quella della solitudine, dell’anonimato e la paura di perdersi-annullarsi nella relazione.
Il disagio spesso emerge quando l’introverso crescendo si trova nella condizione di doversi esporre, in quanto esporsi equivale a toccare il vissuto “non vado bene”.
Il percorso dell’introverso è indirizzato a prendersi responsabilità e cura di sé, attraverso il recupero del proprio significato nel mondo.

3. Il tenero (- +)
Nel vissuto del tenero vi è un genitore costrittivo e controllante “ sono io che decido che tu …”. Il tenero si è autoidentificato nella posizione meno per poter avere la protezione genitoriale e compiacendo spera di poter alla fine essere riconosciuto e soddisfatto nei suoi bisogni e non sentirsi in colpa nel momento che pensa a sè.
Il tenero considera l’assertività come intrusività e violenza, così che non si permette di vivere la rabbia, la accumula finché esplode in modo eccessivo, confermando che questa emozione è pericolosa e va repressa.
Il tenero torna così ad iperadattarsi e quando ripetutamente, nonostante il suo compiacere, i suoi desideri, bisogni e sentimenti, non espressi direttamente, non sono soddisfatti dall’altro, finisce per viversi dipendente, debole negandosi il diritto di usare la propria energia e di autoaffermarsi.
Tra le linee di forza ci sono facilità di insight, intuito e capacità empatica, libera associazione, rappresentazione fantastica e originale, flessibilità e capacità di adattarsi  e facilità nei rapporti.
I limiti sono eccessiva generosità, scarsa fiducia in sé e nel proprio processo logico, che portano il tenero a scegliere ruoli di sudditanza e di appoggio, a non accettarsi in posizione di assertività e a boicottarsi, andando in confusione.
Uno dei sintomi tipici è l’attacco di panico, che non è espressione di paura, ma di rabbia repressa. Il disagio è spesso collegato al crollo dell’illusione di un G idealizzato nutriente a cui appoggiarsi sempre; perdita di cui, in genere, il tenero si attribuisce la colpa.
Il canale sensoriale privilegiato è quello cenestesico, ossia l’afferrare e tastare il mondo esterno. Nel linguaggio ricorrono parole che rappresentano una realtà colta in termini di sensazioni corporee ed impressioni.
Le paure sono, in particolare, la paura del successo considerato come assunzione di responsabilità, dell’intimità vissuta come invasione della propria entità vitale, di fallire ed essere invaso. Da qui un comportamento che oscilla tra il dipendere e il fuggire.

4. Il doppio-ok,  + + (la vita in autonomia e in intimità)
Il quarto quadrante è la posizione esistenziale Io + Tu +, è l’amare gli altri come se stessi, è il sentirsi bene con sé e con gli altri; ciò è il punto di arrivo cercato, raggiunto e continuamente perduto durante il cammino di crescita.
Io sono ok, tu sei ok, principio alla base dell’ Analisi Transazionale e di altre scuole psicologiche, soprattutto quelle umanistiche, è un concetto all’apparenza facile e facilmente banalizzabile, ma in realtà estremamente complesso. Nel contesto originario “Ok” sta ad indicare un prendere una decisione riguardo l’accettazione riguardo qualcosa e qualcuno (Montuschi, 2002).  
Il sentire il proprio okness insieme a quello degli altri non è frutto di un giudizio positivo da parte del G, non è il bilancio oggettivo di limiti e doti fatto dall’A, non è una sensazione piacevole del B, ma nasce dall’interiorizzazione di un modello di rapporto interpersonale diadico complementare (genitore-figlio, maschio-femmina, paziente-terapeuta), un vissuto di uguaglianza e differenza insieme, di fusione affettiva e differenziazione che modella la relazione G-B intrapersonale.
Una dipendenza sana permette di interiorizzare un Genitore che non svaluta, né abbandona, né rifiuta, mentre la presenza di una risposta flessibile e empatica ai bisogni autentici del B favorisce l’acquisizione di fiducia in un Sé riconosciuto, amato, valorizzato e di fiducia nell’altro, in ciò che non è controllabile e dipendente da sé, superando l’angoscia da separazione, la percezione del rapporto di attaccamento come frustrante e pericoloso, l’idealizzazione ambivalente del genitore (invidia) e la svalutazione di sé come separato (vergogna).
Questo avviene se la persona in funzione di G usa il potere come responsabilità e servizio e non per gratificazione narcisistica. Così nell’asimmetria dei ruoli la dipendenza diviene interdipendenza e parietarità.
Sperimentare positivamente la dipendenza permette l’affrancamento dall’iperadattamento agli schemi parentali e sociali, senza perdersi in un’autonomia onnipotente; vuol dire sentirsi maggiormente liberi ed autosufficienti, capaci di tollerare la frustrazione del proprio limite e quello altrui e allo stesso tempo accettare la condizione di dipendenza esistenziale e l’ineusauribile bisogno di amore, del non bastare a se stessi senza svalutarsi, svalutare o negare; vuol dire avere fede in Sé e in qualcosa che trascende il Sé, quell’altro da Sé verso il quale si prova fiducia e amore e dal quale si è chiamati all’autoconsapevolezza e all’amore.
La spinta all’autoriconoscimento e all’attaccamento appaiono interdipendenti e l’identità non esisterebbe se non come identità in relazione. Non ci può essere, quindi, una autentica positività del proprio Sé senza un legame espresso in termini di doppio Ok, ovvero di intimità e quindi di amore (Sasso, 1993).
Chiunque svolge un ruolo di guida ha da porsi in continua autoverifica per poter offrire una relazione diversa nei confronti di chi si prende cura ed evitare un atteggiamento emotivamente distante o iperadattato con il forte, iperprotettivo ed ambivalente con l’introverso, ipercontrollante o reciprocamente compiacente con il tenero.
Altra accortezza con il forte è riconoscergli il bisogno di controllo e una definizione positiva di sé.
Con l’introverso accettare la sua volontà difensiva di non cambiare, accoglierlo così come è, in modo da soddisfare il suo bisogno di essere visto nella sua individualità.
Con il tenero, che risulta particolarmente adattabile, occorre prestare attenzione che il suo cambiamento non sia un modo per compiacere l’altro e restituirgli la fiducia nel suo pensare, sentire ed agire.

Posizioni esistenziali e relazioni di coppia
Le ricerche sperimentali sugli stili di attaccamento nella relazione di coppia hanno individuato quattro modelli che concordano con le posizioni esistenziali.
I soggetti “sicuri” hanno una buona visione di sé e degli altri e corrispondono alla posizione esistenziale + +.
I soggetti ansiosi – ambivalenti hanno una buona immagine degli altri ed una scarsa fiducia in sé e sono i teneri.
I soggetti evitanti – timorosi fuggono l’intimità non considerandosi amabili né degni dell’attenzione degli altri, verso cui non nutrono né stima né fiducia e corrispondono agli introversi.
I soggetti evitanti – distaccati – svalutanti negano il desiderio della relazione, hanno una immagine positiva di sé e negativa degli altri e sono i forti.
Le coppie con un attaccamento sicuro, con un equilibrio tra l’attaccamento e l’autonomia, con un G affettivo interiorizzato, mostrano capacità di sostegno reciproco e abbandono fiducioso all’altro. Ognuno dei partners è base sicura per l’altro. Questo tipo di coppia può essere caregiver nei confronti dei figli.
Un indice predittivo favorevole riguardo l’esito della coppia è inoltre la presenza di un B libero e una componente tenera in almeno uno dei partners.
Infatti, pur nei sui limiti, il tenero è in grado di accogliere i bisogni non riconosciuti del forte e di “accarezzare” il B ritirato dell’introverso.
Nella coppia formata da un tenero e un forte, vi è equilibrio quando il forte occupa il ruolo di B e il tenero quello di G affettivo e protettivo; quest’ultimo permettendosi l’intimità e l’espressione dei sentimenti può stimolare nel forte l’apprendimento del linguaggio emozionale. Invece il forte, come G protettivo nel sociale, diventa esempio di stabilità, autocontrollo e autoaffermazione, di cui è carente il tenero.
L’equilibrio si può scompensare qualora il tenero entri in crisi a causa della scarsa gratificazione da parte del forte. Oppure se il forte diventa eccessivamente protettivo e giudicante, soffocando il tenero.
Nella coppia formata da un tenero e un introverso, quest’ultimo si prende accoglienza, forza e protezione, mentre il primo trova nella relazione assenza di controllo, libertà mentale e scarsa critica.
L’unione si scompensa se il tenero proietta i suoi bisogni attribuendoli al partner, il quale reagisce mostrando un G critico, distante e persecutorio (Sasso, 1996). 


MONTUSCHI F, Fare ed essere, il prezzo della gratuità nell’educazione, Cittadella Editrice, Assisi,2002.

ROMANINI M. T. Principi nelle pelli dei rospi, Riv. It di AT e Metod Psicoter.,III, 4, 1983.

ROMANINI M. T. La nascita psicologica, Riv. It di AT e Metod Psicoter.,V, 8-9, 1985.

SASSO R. La purezza del terapeuta: autoanalisi e self-reparenting quali presupposti del “doppio-Ok, Riv. It. di AT e Metod. Psicoter., XIII, 25, 1993.

SASSO R. Il  contratto e il demone, Riv. It di AT e Metod Psicoter.,XIV, 26-27, 1994

SASSO R. Il genitore affettivo nella coppia, Riv It di AT e Metod Psicoter.,XVI, 30, 1996

SASSO R. Linguaggio del corpo e copione in psicosomatica, Riv. It. di AT e Metod. Psicoter., XXII, 43, 2002.